Ronco Biellese, 27 agosto 1944

 

Ronco

 

“…nei giorni successivi [27 agosto] forze tedesche e fasciste rastrellano la zona di Ronco e Ternengo. 
A Ronco il distaccamento “Cuffia” si trova improvvisamente impegnato da una robusta colonna nemica.
Si combatte per ore e ore a distanza ravvicinata da una casa all’altra.
Il nemico subisce numerose perdite, fucila sulla piazza un pacifico cittadino, il barbiere [Pierino Bona].
I nostri che si erano ritirati all’estremità del paese attaccano nuovamente. 
Nel combattimento si distinguono particolarmente Gianni Crestani (Gianni) – comandante di distaccamento – e il Garibaldino “Dan”, neozelandese, che sgranano ognuno oltre una dozzina di caricatori di sten, facendo tacere una mitragliatrice con tutti i serventi. 
E’ questa la prima volta che un intero nostro reparto combatte in campo aperto e benché il nemico anche questa volta sia di gran lunga superiore, i nostri hanno la meglio. 
Diciassette case del paese vengono arse per vendicare, dicono loro, “ognuno dei loro Caduti”; numerosi sono i feriti. 
A sera il distaccamento ripiega a San Francesco”.

Le case del paese date alle fiamme, un civile ucciso in piazza:
il racconto che avete appena letto sopra è tratto dal Diario storico della 2.a Brigata Garibaldi intitolata ad “Ermanno Angiono “Pensiero”, con parole scarne, che ci riportano nel clima di quelle ore drammatiche.

Era una domenica estiva, parte della popolazione era salita ad Oropa per il pellegrinaggio annuale della Parrocchia.
Il Distaccamento che si trovava in paese era il “Cuffia”, dal nome di battaglia di Salvatore Solinas, Partigiano di Ivrea ucciso nella Valle del Cervo il 27 gennaio 1944. 
Le case bruciate furono diciassette, cui bisogna aggiungere i fienili, i pollai, le legnaie: un numero impressionante per questo paese così piccolo disteso sotto la collina del Brich.

Il primo documento che ufficializza i danni subìti dalla popolazione è un elenco stilato dal Sindaco dell’epoca, Disma Penna. La data riportata sul documento in archivio nel Municipio è quella del 14 dicembre 1945. E’ una richiesta di danni per la rappresaglia subita. L’esito fu certamente negativo, poiché la richiesta venne reiterata ben dieci anni dopo, il 5 ottobre 1955. Non risulta che alcun proprietario sia mai stato rimborsato. Furono poche le frazioni che si salvarono, ma il clima era così incandescente che parve che tutto il paese fosse a fuoco. Le fiamme si vedevano da ogni parte de Biellese, considerata la posizione centrale di Ronco sul suo territorio.

Purtroppo per noi l’acqua occorrente per spegnere incendi così grandi è molto scomoda, la Riasca e la Chiebbia scorrono troppo in basso rispetto alle case: va bene per le alluvioni, ma non in questi casi. I pozzi sono molto profondi, ma il problema era che i piromani non lasciavano spegnere le fiamme: a dire la verità, tutti quelli che potevano si erano nascosti nelle vigne e nei boschi, e se qualcuno per disperazione avesse provato ad intervenire la situazione sarebbe ulteriormente peggiorata.

A Ronco molti uomini erano muratori, devoti, almeno una volta l’anno, l’ultima domenica di gennaio, a san Giulio, ma una distruzione del genere non si era mai vista. Nemmeno la natura, che non sa cos’è la pietà, si era mai accanita contro la popolazione in un modo così grave. Le grandi nevicate o il vento primaverile in fin dei conti portavano un po’ di lavoro: sostituire qualche trave, alcune tegole, qualche camino erano eventualità accettate da tutti, comprese nella durezza della vita, di allora come di oggi.

Ma la volontà di altri uomini di fare deliberatamente del male a persone incolpevoli, colpendole nella casa, quasi sempre l’unico bene disponibile, era e rimane una possibilità che nessuna mente avrebbe mai potuto concepire. 
Se poi tutta questa inspiegabilità deve anche fare i conti con l’uccisione in piazza di una persona mite, Pierino Bona, che tutti conoscevano per il suo mestiere di barbiere, con la cattura di diversi cittadini, caricati su un camion e portati a Biella dai militi come ostaggi, e con il miserevole saccheggio della Cassa del Dopolavoro, al piano terra del Municipio, diventa comprensibile capire che la tragedia era molto più grave del solo danno economico patito, per il quale si chiedeva l’indennità e l’aiuto dello Stato.

Per questo è opinione diffusa ancora oggi che quel giorno sia stato il più brutto della storia del paese. Ci sono stati sicuramente giorni simili o peggiori, dovuti ad epidemie, siccità, o incendi naturali, ma la memoria degli uomini non arriva così lontano per ricordarseli.

Testi e foto della Sezione ANPI Vallecervo “P.Lanati” – 2018